domenica 6 novembre 2011

MALICK VS. SOKUROV, LA DIFFERENZA TRA UN CAPOLAVORO E UN FIASCO

(a sinistra Terrence Malick, a destra Aleksander Sokurov; visto come siamo bravi con Photoshop?)


Abbiamo resistito finchè abbiamo potuto. Abbiamo letto, ascoltato, discusso.
Però adesso è giunto il momento di dire la nostra.

Ormai da settimane, anzi da circa un paio di mesi - ossia da quando fu presentato a Venezia - la critica più o meno specializzata si è quasi unanimamente sperticata in lodi (uniche eccezioni: CINEMA A BOMBA! e Herald Tribune) per il Faust del regista Aleksander Sokurov (clicca sul link per leggere la nostra recensione), vincitore annunciato - malignando si potrebbe dire "a tavolino" - del Leone d'Oro.

Fin qui nulla di male, il giudizio è discutibile quanto si vuole, ma si sa: de gustibus non disputandum est.
Il problema è iniziato quando molti, troppi recensori hanno cominciato ad accostare la pellicola russa a quella vincitrice della Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes: The Tree of Life di Terrence Malick.

Non che manchino i punti di contatto: entrambi sono film per palati fini, volti a soddisfare i fanatici della messinscena, entrambi diretti da cineasti di culto niente affatto prolifici e poco noti al grande pubblico, entrambi impegnativi e ambiziosi.
La diversità non è nella premessa, è nel risultato.

Se da un lato il regista texano è riuscito a raccontare la storia di una famiglia legandola a un discorso più ampio sull'origine del mondo, il senso della vita e la ricerca di Dio, Sokurov sembra aver perso di vista il tema della sua opera - l'ὕβρις (leggasi "hùbris", ossia "tracotanza") di un medico egomaniaco che pretende di imporre il primato della scienza su quello divino - limitandosi a un mero collage di scenette grottesche, utili solo ad esaltare la notevole fotografia "fiamminga" del francese Bruno Delbonnel e, a tratti, il sex appeal della giovanissima attrice Isolda Dychauk.

Volendo allargare il discorso ai due festival, si potrebbe affermare che il confronto tra le due pellicole rappresenta anche la differenza tra una rassegna di qualità e una da migliorare, tra un giudizio coraggioso ed un altro più scontato (insieme al cinema "d'autore", Cannes ha considerato anche il "genere", incarnato là dal danese Winding Refn: perchè Venezia non ha risposto premiando Friedkin o la Mann?).

Ma, in fondo, si tratta soprattutto della differenza tra un film appassionante e uno soporifero, tra uno riuscito e uno sfocato.
La differenza tra un capolavoro e un fiasco.

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